Gorgona fa parte delle “sette sorelle” che formano l’Arcipelago Toscano, insieme a Capraia, Elba, Pianosa, Giannutri, Giglio e Montecristo. La leggenda narra che fossero perle che si sfilarono dalla collana di Venere.
Questa isola, piccolissima, scoscesa, rocciosa, ma anche con campi e boschi, ha una peculiarità unica: è un carcere, o meglio una “colonia penale”. Non è accessibile al pubblico se non attraverso visite guidate in giornata; non è possibile soggiornare, non è possibile la balneazione, e nemmeno attraccare con imbarcazioni private. Qualsiasi imbarcazione in navigazione nel mar Ligure circostante deve stare a distanza di 1 km in linea d’aria dal periplo dell’isola oppure di 3 km in caso di sosta in mare aperto.
L’escursione va prenotata in anticipo presso il sito dell’Arcipelago Toscano: in fase di prenotazione vanno lasciati i propri dati anagrafici e il numero della carta di identità; questi vengono trasmessi alla Polizia Penitenziaria, che effettua un controllo giuridico su ciascuna iscrizione. Coloro che hanno carichi pendenti con la giustizia o con casellario giudiziario attivo possono venire esclusi dall’escursione.
Il costo, a giugno 2019, è di 45 € e comprende traghetto a/r e visita guidata con trekking tra le zone dell’isola della durata di svariate ore. L’escursione permette di visitare l’isola in un percorso che si snoda per 7 km tra edifici penitenziari, sentieri, vigne, boschi, ripide rocce a strapiombo sul mare, fari e vecchie fortezze. Non è possibile scattare fotografie, per cui telefoni cellulari e macchine fotografiche vengono sequestrati prima di arrivare sull’isola. Il pranzo è al sacco e non si può lasciare nulla sull’isola, occorre dotarsi di contenitori per la spazzatura personale.
Appuntamento con il natante “La Superba”, imbarcazione da 75 posti, alle 07.45 al porto di Livorno, molo Elba. La partenza è alle 08.15, ma occorre convalidare la registrazione effettuata online presentandosi alla passerella del traghetto e lasciare la propria carta di identità per i debiti controlli che verranno espletati sull’isola. La carta d’identità verrà restituita solo durante il tragitto di ritorno. La traversata dura circa un’ora e un quarto: si esce dal porto insieme a tanti traghetti che puntano a sud, diretti all’Elba, in Corsica o in Sardegna. Noi gli unici a puntare a ovest: la misteriosa Gorgona!
In questa esperienza sono con la mia impareggiabile amica Ines, e poi Sandra, Doriano e Stefania, mini reuniòn della Costa d'Avorio.
L’emozione, la curiosità, la trepidazione sono intense: finalmente abbiamo la possibilità di conoscere un’isola sempre percepita come misteriosa, diffidente, intimorente. Di cui si parla così poco!
L’arrivo al porticciolo è anticipato da una motovedetta della Polizia Penitenziaria che ci viene incontro, controlla l’imbarcazione e poi dà il via libera ad entrare. La prima vista permette di fotografare subito, solo con lo sguardo, l’intero “paese”. Pochi edifici, austeri, incastonati nel terreno subito in rilievo che vengono abbracciati da una piccolissima spiaggia di porto. Il primo edificio che ci accoglie è l’ufficio della Polizia Penitenziaria subito all’interno del porto, a ridosso del molo, e due jeep con agenti all’esterno ci osservano. Tutti in uniforme, scrutano noi e l’attracco della nostra imbarcazione.
Inizia lo sbarco, ma viene richiesto di rispettare le precedenze: scendono per prime le guide ambientali, e portano gli elenchi dei partecipanti insieme alle relative carte di identità raccolte a Livorno.
Il secondo gruppo chiamato a scendere è il gruppo dei “colloqui”. In effetti non mi ero resa conto, come molti altri tra noi, che sul traghetto c’erano diverse persone senza alcun capo di abbigliamento “da escursione” e nemmeno avevano lo zainetto, ma piuttosto provvisti di scarpe da città e borsoni di plastica della spesa: erano i parenti dei detenuti che venivano a visitare il proprio congiunto. Saranno stati una ventina: madri, sorelle, mogli, nonne anziane addirittura. Anche uomini, sì, ma la predominanza era femminile. Sono scesi ben consapevoli di essere un gruppo a parte, con gli occhi puntati su di loro, muovendosi una certa andatura che mi ha fatto stringere il cuore. Hanno avanzato per un pezzo a piedi e successivamente sono state trasferite nella zona dei colloqui nella parte alta del micro-paese.
Il terzo gruppo a scendere è quello dei cosiddetti “residenti”. Quattro persone che hanno la disponibilità di un appartamento del paese in formula di usufrutto speciale ma che non possono viverci, solo pernottare per periodi di tempo limitatissimi durante l’anno e concordati con l’amministrazione penitenziaria.
Dopo i “residenti”, sono chiamati “i giornalisti”. C’erano tra di noi infatti due uomini con un permesso speciale e l’attrezzatura fotografica per effettuare un reportage. La borsa era del National Geographic: saranno stati proprio di questa testata? Dovremo controllare le prossime rassegne stampa.
Ultimo gruppo a scendere, noi, gli escursionisti. Sempre sotto l’occhio vigile degli agenti della polizia penitenziaria (guai a chiamarle guardie!) mettiamo piede sull’isola.
La nostra guida, l’ottimo Walter, inizia l’escursione al meglio: illustrandoci il piccolo paese con la spiegazione delle funzioni dei vari edifici. Lo sommergiamo subito di domande: quanti detenuti di sono? Hanno libertà? Che cosa fanno? Dove si trovano? Ci sono mafiosi o condannati per omicidio? Walter ci spiega tutto: i detenuti sono attualmente 94 e vivono in diversi edifici, alcuni con più libertà di altri (è l’edificio di riferimento a definire questo), i più meritevoli possono essere adibiti a funzioni particolari: lavorare nelle vigne, guidare il trattore (solo i più meritevoli davvero!!), occuparsi degli animali, lavorare nelle cucine o nel piccolo bar dell’isola. Walter ci segnala che nella nostra escursione saremmo passati molto vicino agli edifici di detenzione oppure avremmo incontrato per strada i detenuti dediti alle mansioni speciali, ma che abbiamo di fatto assoluto divieto di dialogare con loro, possiamo al massimo salutare con la mano o far cenno col capo e dire “buongiorno”. Altra raccomandazione: mantenere sempre compattezza tra di noi nel procedere (eravamo 25) durante tutta l’escursione, evitando un passo rallentato, un soffermarsi solitario a rimirar il paesaggio o un distacco anche solo di 10 metri in qualche curva, perché se gli agenti in perlustrazione di controllo vedono in qualsiasi parte dell’isola dei civili isolati dal resto del gruppo effettuano un severo e formale richiamo alla guida. Massima attenzione anche al tema telefonini, se per caso ne viene trovato uno addosso ad un escursionista scatta l’allarme, i detenuti vengono tutti riportati in cella e inizia un’ispezione a tappeto con possibili drastiche decisioni di limitazioni alla libertà. Tra i detenuti non ci sono mafiosi, in quanto non sono previsti in questa colonia penale, mentre sono presenti condannati per omicidio.
La selezione dei detenuti destinati alla permanenza per un certo periodo in questa specifica colonia penale avviene sulla base di criteri anche pratici: l’istituzione penitenziaria privilegia condannati che abbiano una qualche competenza specifica lavorativa, ricercando cioè manodopera di muratori, elettricisti, idraulici, contadini, allevatori di bestiame...: tutte professioni che danno la possibilità di rendersi attivi contribuendo alla manutenzione del carcere. Questo perché per un carcere così particolarmente isolato e soprattutto vecchio (l’attività di detenzione risale all’800) è richiesta una manutenzione continuata, e se il mare è mosso e il tempo è brutto, casistica non desueta, non sono permessi accessi di supporto dalla terraferma di alcun tipo. Perciò, in caso di emergenza come si fa? La soluzione più semplice e congrua è quella di far riferimento a risorse interne.
La durata media di permanenza può essere di cinque anni, poi i detenuti possono transitare in altre carceri oppure terminare la condanna qui, ma le tempistiche di soggiorno variano a seconda dei soggetti.
Tutte queste informazioni e molte altre ancora accompagnano il nostro cammino attraverso il paesino: arriviamo al bar con terrazza belvedere che dà sul porticciolo gestito dall’Amministrazione Penitenziaria: rifornimento di caffè, qualche bibita e focacce realizzate dai detenuti (buonissime: spesse, soffici e gustose!). Alla cassa un agente, e al servizio due detenuti, uno in particolare molto timoroso e schivo. Il bar è provvisto di biliardino e biliardo per gli agenti, e alle pareti ci sono numerose fotografie di “eventi”. È capitato che si siano svolte rare occasioni conviviali promosse dal penitenziario, con la presenza di personaggi noti (e.g. Carlo Conti e Paolo Brosio) che hanno giocato la “partita del cuore” con i detenuti o contribuito con elargizioni.
Lasciamo la terrazza, e vediamo transitare due trattori in movimento. I guidatori, detenuti con una certa età, ci salutano molto gentilmente. Inizia il trekking vero e proprio: la strada porta un po’ in rilievo dove c’è la chiesetta e, di fianco, un prato ben tenuto con due alberi in fondo e dei gazebi circolari di legno. Sotto, all’ombra, tavolini, sedie, anche uno scivolo per bambini: la zona dei colloqui. Tutti i tavolini e le sedie sono occupati, un agente accostato al muretto controlla l’area. Righiamo dritto per lasciare la giusta privacy alle famiglie, anche se con la coda nell’occhio le scene viste sono abbastanza toccanti, in particolare una anziana donna claudicante che era venuta a trovare un giovane ragazzone: sarà stata la nonna?
La strada improvvisamente si snoda con un’ampia pendenza in salita, con la vista di campi di vigneti e ulivi a fianco. Ci avviciniamo, passando di fianco, agli edifici di detenzione. Uno per i detenuti con “maggiori libertà” e l’altro, un po’ più lontano, provvisto di grate alle finestre e alte reti metalliche circondanti il cortile, per i detenuti con “meno libertà”. Passaggio veloce, tutti compatti; oso qualche saluto con la mano, ricambiato, e continuiamo per la salita. Un centinaio di metri dopo arriviamo alla zona dell’allevamento bestiame. In quest’isola c’è un cavallo, cinque maiali, galline, pecore e sei mucche. Non abbiamo MAI visto delle mucche tirate più a lucido di queste!! Dico letteralmente: pelo lucidissimo, quasi avessero fatto lo shampoo, neanche un cm quadrato di sporco. E loro stesse in ottima salute: enormi, robuste e tranquille, ci guardano beate nel loro recinto. Le stalle, poi: anche per queste, siamo tutti concordi che siano le stalle più pulite mai viste in vita nostra: niente sterco, neanche un filo di paglia fuori dal recinto, pavimenti spazzati alla perfezione. Chapeau agli addetti!! Si vede notevolmente quanto tengano al loro lavoro!!
La possibilità di un lavoro è una peculiarità di questa colonia penale: come anticipato prima, selezionati detenuti possono svolgere mansioni lavorative nelle vigne e negli uliveti, oppure occuparsi degli animali, oppure ancora prestare servizio nel piccolo bar, frequentato principalmente dagli agenti o dagli escursionisti il sabato. Percepiscono una regolare retribuzione, che possono conservare o inviare alle proprie famiglie.
In particolare, nei vigneti ci sono due ettari gestiti dal penitenziario attraverso una collaborazione con l’azienda vinicola toscana Frescobaldi: nello specifico il marchese Frescobaldi, attuale proprietario dell’impresa di famiglia, ha siglato un accordo con la colonia penale per mettere in produzione questi due ettari e stipulare una partnership lavorativa fornita di regolare retribuzione con alcuni detenuti che vengono selezionati per lavorare nei vigneti. Il rapporto di lavoro dura un anno per ciascun detenuto, per dare modo anche ad altri di poter usufruire dell’esperienza. Infine, al termine dello sconto della condanna, i detenuti che hanno mostrato non solo buona condotta ma anche maggior attitudine e passione per l’attività hanno la possibilità di venire assunti formalmente presso l’impresa sulla terraferma. Che grande iniziativa!
Ho visto che è in vendita in alcune enoteche e drogherie di Milano il vino Frescobaldi di Gorgona: peccato sia astemia, ma lo regalerò di sicuro!
Tornando al nostro percorso, lasciamo le stalle pulite come specchi per raggiungere il cuore dell’isola: nell’avventurarci in sentieri sterrati, parzialmente adombrati da boschi di grandi pini marittimi o pini di Aleppo, scompare qualsiasi caseggiato. Walter ha competenze molto approfondite in botanica, e ci accorgiamo della nostra grande ignoranza in materia: non sappiamo quasi nulla della maggior parte dei fiori e delle piante che ci circondano, dei loro segreti e delle curiosità che li caratterizzano. È quindi un piacere per tutti ascoltare così tanto sapere elargito con passione, mai presuntuosità ma piuttosto desiderio di condividere il più possibile. I profumi sono tanti: gelsomini, rosmarini, lavande... e arriviamo fino alla Rocca Vecchia: chiamata “il Castello”, è una costruzione in pietra, ormai rudere, arroccata su scoscese rocce. Eretta inizialmente come baluardo contro i pirati nel Trecento, fu trasformata in monastero dai monaci per poi essere convertita in prigione. Lo strapiombo sul mare è mozzafiato, l’acqua è splendida, da cartolina. C’è solo, in fondo, a più di 100 mt, una caletta di sassi, microscopica: la lunghezza è di un metro e mezzo, totalmente irraggiungibile dalla ripidezza delle rocce quasi verticali. Sarebbe un sogno fare il bagno con una barchetta a disposizione, specchiandosi in quelle acque!
I gabbiani sono i padroni assoluti di questo scenario. Sono tantissimi, alcuni nidificano tra le rocce, altri volano intorno a noi, altri ancora ci osservano da massi e cespugli. Ci rendiamo conto, camminando praticamente per il periplo dell’isola, che evadere da Gorgona è difficilissimo: l’isola è quasi tutta formata da rocce a strapiombo dalle quali è impossibile calarsi, a volte coperte da cespugli che nascondono infauste voragini: l’unica zona possibile è la zona del porto. Ma anche lì ci sono due gommoni di agenti appostati fuori, a qualche decina di metri dalla costa, che continuativamente, a mollo, controllano di vedetta.
Pranzo al sacco all’ombra refrigerante del bosco, poi l’escursione prosegue con la visita al piccolo cimitero: poche tombe, i residenti storici dell’isola. Quasi tutti con gli stessi cognomi, predominanti i Citti. Alcune tombe sono senza nome, plausibilmente di detenuti.
Attualmente l’unica residente a tutti gli effetti dell’isola è una anziana signora di 92 anni portati benissimo: la signora Luisa Citti, che ha sempre vissuto e vive tutt’ora nella casa in centro al porto e non ha nessuna intenzione di muoversi da lì. Pare sia il punto di riferimento di agenti e detenuti, una specie di mascotte. L’abbiamo vista affacciarsi alla finestra e salutarci!
Dopo il cimitero, altri scorci, due edifici abbandonati negli anni ’80 in attesa di riqualificazione, e il vecchio faro, con viste superbe sul verde brillante e grigio intenso di cespugli e rocce che formano il frastagliato, imponente e orgoglioso perimetro dell’isola. L’ultimo tratto del percorso ci porta a mirare i vigneti e l’antica torre dell’orologio, più folcloristica per l’architettura originale che attiva dal momento che l’orologio è solo abbozzato, per poi ridiscendere in paese, al porto. L’escursione è terminata, l’appuntamento da rispettare per l’imbarco è puntualissimo alle 18.15. Veniamo contati ad uno ad uno mentre saliamo sull’imbarcazione (non sia mai che qualcuno voglia rimanere nascosto sull’isola!) e salutiamo l’isola.
Lasciare Gorgona instilla tante emozioni. Quante nuove consapevolezze. Quante cose viste, apprese, assimilate. Quante persone incrociate, o scorte da lontano, che vivono e lavorano lì. Detenuti, agenti, e l’unica residente… a più di 30 km dalla terraferma, in 2 km quadrati di superficie, circondati dal mare. Una dimensione in cui tutto è circoscritto. Isolati, davvero. Un mondo a parte, che vale la pena esplorare e conoscere per scoprire, e lasciarsi emozionare. Per stupirsi di un’altra, incredibile sfaccettatura d’Italia, per arricchire ancor di più quel caleidoscopio continuo che è la propria vita.